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L’enorme richiesta di prodotti di origine animale genera una serie di conseguenze difficilmente risolvibili e destinate a creare danni ambientali e sanitari gravissimi

Allevamenti intensivi

Il sequestro della WTE ha sollecitato notizie giornalistiche, meno certamente diffuse di altre ben più banali, ma non ha invogliato gli organi di stampa a sottolineare la vera lezione della vicenda.

Brevemente, la ditta aveva l’autorizzazione a trattare i fanghi di depurazione, come vengono definiti i residui di reflui industriali e degli allevamenti dopo opportuni trattamenti. Successivamente essi possono essere sparsi sui terreni coltivati come fertilizzanti.

Per massimizzare i guadagni le ditte cercano di risparmiare sui trattamenti da eseguire così come sulle materie da inserire nella lavorazione.

Poiché si tratta di materie estremamente puzzolenti la dispersione nell’ambiente diffonde odori nauseabondi, ma ancora più grave è che il procedimento incompleto lascia circolare germi e sostanze nocive quali i metalli pesanti, tossici.

Il fenomeno delle irregolarità era stato oggetto di inchieste giornalistiche da parte di Report ma non si erano verificate azioni degne delle cronache fino al sequestro di fine maggio quando  la ditta WTE è stata sottoposta a sequestro.

La notizia ha giustamente sollevato preoccupazioni di tipo sanitario e ambientale per le contaminazioni batteriche e tossiche, però meriterebbe una riflessione globale poiché solleva un problema generale della società odierna, ovvero il rapporto tra l’ansia da produzione e le conseguenze ambientali.

Nella società odierna il vero mito è la produttività, la quantità delle merci che si immettono in commercio minimizzando o sottostimando le problematiche dello smaltimento dei rifiuti.

Uno degli elementi che entravano nei fanghi erano le deiezioni animali e non si può non collegare il fatto che in Lombardia sono allevati la metà dei suini presenti in Italia (più di quattro milioni di capi) e quasi il 30 per cento dei bovini (quasi un milione e seicentomila), una massa enorme che mangia e lascia quantità considerevolissime di escrementi, e si deve aggiungere che non esiste una superficie di terreno coltivabile in grado di accoglierli.

Da anni, l’Unione Europea indica una produzione esagerata di reflui zootecnici che inquinano le falde e l’aria, ma ha accettato le proposte delle quattro regioni della pianura padana di provvedere al trattamento dei liquami in modo di abbassarne il potere inquinante. Con la trasformazione in fanghi, appunto.

Però non si è risolto, perché non lo si vuole affrontare, il vero problema: il numero di animali allevati.

Originali o trasformati, i reflui sempre tanti sono e il punto critico rimane nella scarsità dei terreni utilizzabili, per cui invece di una tonnellata di fanghi per ettaro coltivato, le autorità inquirenti hanno rilevato quantità tra le 30 e le 60 tonnellate per ettaro, una cifra spaventosa che da sola indica la vastità del problema e l’inevitabile presenza di effluvi insopportabili.

Però la lezione più importante è stata ignorata da parte dei mezzi di comunicazione, la vicenda deve richiamare l’attenzione sull’enorme richiesta di prodotti di origine animale che genera una serie di conseguenze difficilmente risolvibili e destinate a creare danni ambientali e sanitari gravissimi. Chissà quali conseguenze ci potranno essere per la salute di coloro che hanno mangiato per anni il mais coltivato su quei terreni.

La condanna di chi sbaglia è fondamentale ma quante WTE ci sono che hanno le stesse problematiche e sono ignorate?

Si parla tanto di transizione ecologica, ma si deve essere consapevoli che la prima evoluzione positiva deve nascere a tavola, iniziando dal diminuire drasticamente i prodotti di origine animali, carne, salumi, latte e latticini.

Le autorità politiche amministrative dovrebbero mettere questo obiettivo come primario nelle loro strategie decisionali.


Enrico Moriconi, medico veterinario, è Garante per i Diritti degli Animali della Regione Piemonte

17 giugno 2021

 

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