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Cibo e pubblicità ingannevole

Carne, pesce, uova, latte, formaggi e bugie sulle nostre tavole. Ovvero, il rapporto che ci può essere tra cibo e pubblicità ingannevole.

 

Le ditte e le società che producono carne, pesce, latte, formaggi, uova e altri prodotti ancora di derivazione animale, hanno visto come, per i consumatori,  sia utile far giungere un messaggio che contempli il “benessere animale“: così mucche, maiali, polli, agnelli, pecore, bufale, pesci e qualsiasi altro animale coinvolto nelle filiere alimentari, vengono rappresentati nelle pubblicità come felici e contenti, sani e 100% italiani.

Ma questo non corrisponde alla realtà dei fatti. Purtroppo non è come si vuole far apparire, perché  tutto quello che vivono gli animali negli allevamenti, sia intensivi che non, come il terrore, la violenza, i maltrattamenti, il sudiciume non deve arrivare all’attenzione del consumatore, altrimenti le vendite andrebbero in netto calo conoscendo la verità.

Qual è dunque il confine tra pubblicità e ingannevolezza?

Intanto con il termine pubblicità, così come definita dalle stesse Camere di Commercio italiane, si intende  una forma di comunicazione a pagamento promossa su iniziativa di operatori economici che viene attuata attraverso diversi mezzi di diffusione, come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, il web ecc...“che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in relazione al consumo di beni e all'utilizzo di servizi. La pubblicità costituisce un ponte fra il prodotto e il consumatore”. Praticamente è quella che già nel secolo scorso si definiva come  l’anima del commercio.
Ecco quindi che le proposte pubblicitarie con cui veniamo in contatto ogni giorno sono centinaia, anzi ne siamo martellati. Ne consegue che sia importante capire e valutare bene la pubblicità, anche perché capita spesso di imbattersi in messaggi promozionali che promettono e non mantengono, o che omettono volutamente delle informazioni oppure le inseriscono con caratteri molto piccoli che difficilmente vengono notati. In questi casi si parla proprio di pubblicità ingannevole, definita dall'art. 2 del D.Lgs. 74/1992. Si tratta di un articolo legislativo in cui  si cita che la pubblicità ingannevole è una forma di pubblicità  che, con un messaggio falsato e distorto, esalta qualità che il prodotto non possiede, ingannando il consumatore o dove  il messaggio pubblicitario è in grado di viziare la volontà del compratore.

Il background delle filiere degli allevamenti intensivi
Il background delle filiere degli allevamenti intensivi

Proprio per ciò che riguarda il cibo e le pubblicità sugli alimenti che si possono considerare ingannevoli, ci sono stati innumerevoli precedenti identificati con questa dicitura e soprattutto la pubblicità ingannevole nell’industria della carne e affini è un fatto che dovrebbe essere evidenziato e portato a conoscenza del pubblico.

Esempi di pubblicità ingannevole ce ne sono tantissimi, già anche denunciati a partire dal 2016 e poi ancora nel 2018 e nel 2019 verso aziende di allevamento di polli, che hanno dovuto rivedere i loro spot e  cambiare immagini e slogan, in quanto ingannevoli perché  avevano contenuti divulgativi che mostravano una realtà idilliaca per i polli allevati, ma di fatto una realtà del tutto inesistente.

Così pure è stato per i maiali e il prosciutto di Parma.

Al momento l’industria agro-alimentare continua a nascondere il problema dello sfruttamento degli animali con pubblicità ingannevoli, e questo vale anche per il latte, le uova , il formaggio, i filetti di pesce oppure il tonno e altro ancora.

Prati verdi, mucche felici, galline che razzolano, pesci che nuotano in grandi spazi: queste sono le immagini che vediamo spesso negli spot in tv, sui cartelloni stradali e sulle etichette.

Tra l’altro si tratta molto spesso di  immagini di un mondo fittizio che non esiste più, di una produzione legata alla tradizione italiana, alla vita contadina, ai pascoli: ma tutto questo non c’è più perché è stato progressivamente sostituito dall’irragionevole sistema degli allevamenti intensivi. Quindi, si ricade immancabilmente in pubblicità ingannevoli.

Fortunatamente ci sono state diverse vittorie legali che hanno dimostrato quanto sia fuorviante l’immagine creata dall’industria alimentare  rispetto alle reali condizioni degli animali negli allevamenti e nei macelli.

Perché la realtà non è quella mostrata ai consumatori: non vengono logicamente mai fatti vedere il sovraffollamento, le gabbie strettissime, le patologie, le malformazioni e le mutilazioni, le condizioni insane o i casi di maltrattamento che si incontrano ogni giorno in questi veri e propri lager, presenti eccome anche in Italia.

Per di più,  ben poche persone sono al corrente che l’industria agroalimentare italiana vale circa 93,4 miliardi di euro, come espresso dai dati del rapporto Ismea 2020 e, per di più, ampiamente sostenuta da fondi pubblici, come la Pac europea, ovvero la Politica Agricola Comune, che rappresenta il 34,5 per cento del bilancio dell’Unione Europea.

Quindi è comprensibile che quanto viene mostrato sui siti delle aziende, sugli spot televisivi o sui cartelloni pubblicitari sia una immagine addolcita o distorta rispetto alla realtà dei fatti sulle filiere di allevamento.

Lo sfruttamento e la sofferenza degli animali da reddito
Lo sfruttamento e la sofferenza degli animali da reddito

Gli spot ingannevoli spesso vanno a toccare anche la salute alimentare: ne è stato un esempio il caso di aziende produttrici di prosciutto cotto, in cui questo alimento veniva definito come "fondamentale per i bambini dalla prima infanzia all’adolescenza”.

Si tratta di un fatto che vide l’intervento dell’ Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) che si pronunciò in merito e fece rimuovere la pagina web dal sito dell’azienda poichè la definizione di “fondamentale” riferita al prosciutto cotto pubblicizzato, venne indicata come impropria. Anche perché nel messaggio pubblicitario si affermava  che “i pediatri lo consigliavano sin dallo svezzamento, a partire dagli 8 mesi”.

Così come questa,  altre situazioni si sono verificate con pubblicità improprie che descrivevano, in modo non vero, le proprietà salutari di alcuni cibi: principalmente prodotti di derivazione animale come carne o latte con il fine di lasciar intendere come indispensabile il loro consumo.

Bisogna considerare, inoltre, che il prosciutto èun alimento ancora molto presente nelle mense scolastiche in quanto, tra gli insaccati, è ritenuto tra i migliori per il basso contenuto di sale. Ma questo non corrisponde al vero.

Infatti nella fase di lavorazione del prosciutto cotto vengono aggiunti i nitriti, che sono degli additivi etichettati  come E250, ovvero nitriti di sodio. Questi, oltre ad agire come  conservanti,  conferiscono sapore e rendono rosea la carne che altrimenti avrebbe un colore molto meno invitante, cioè grigio e di aspetto un po’ cadaverico.

Per di più  all’interno del nostro organismo i nitriti vengono trasformati  in nitrosammine, che sono spesso implicate nei processi cancerogeni e che può indurre nei bambini meta-emoglobinemia causando danni ai globuli rossi.

La stessa Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha inserito la carne rossa e lavorata, i salumi e gli insaccati nella lista delle sostanze cancerogene.

Ne consegue  che non è possibile, in una azione pubblicitaria,  accostare aggettivi come “fondamentale” o “indispensabile” a prodotti come il prosciutto cotto  specialmente riguardo a una corretta alimentazione in età pediatrica o nel periodo di svezzamento.

Ma ritornando ad un aspetto etico, proviamo a guardare la pubblicità “alimentare” con un occhio che spazi un po’ al di sopra dell’ovvio e dell’abitudine. Allora cosa si può dire, per esempio, di quella relativa al formaggio grana, dove l’industria non solo presenta le sue mucche in un contesto bucolico e folkloristico, incluso il momento della mungitura, ma si tiene ben lontana la realtà di ciò che le mucche vivono: schiave invece di un sistema di sfruttamento estremo e ormai del tutto meccanizzato che  le“consuma” e che a causa dell’ intenso ritmo di produzione, finiscono per avere un’aspettativa di vita molto breve.

La scelta alimentare alternativa allo sfruttamento degli animali
La scelta alimentare alternativa allo sfruttamento degli animali

O che dire di spot di mucche massaggiate e che fanno la doccia? Anche in questo caso il tutto immerso in paesaggi bucolici con scene di vita contadina.

O di spot che inneggiano alla carne di pollo tutta italiana, di polli allevati senza antibiotici e nel rispetto del loro benessere e biologici: ma cosa vuol dire???

Insomma,  l’industria continua a far vedere agli spettatori immagini molto diverse dalla realtà, in nome del made in Italy.

La verità  è che qualunque spettatore di fronte alle vere immagini di un allevamento, che sia di vitelli, di mucche, di bufale, di maiali, di polli, di galline, di pecore, di salmoni o di orate e branzini (giusto per citarne alcuni), vedendo le vere condizioni degli animali rimarrebbe impressionato. Perché le incongruenze della produzione alimentare a base animale sono reali e dimostrate, così come reale è l’ingiusta e terribile sofferenza degli animali.

Allora perché è ancora possibile raccontare  così tante bugie?

Non lasciamoci ingannare: ognuno di noi può cambiare le cose. Come? Scegliendo di non mangiare prodotti derivati dallo sfruttamento degli animali.

 

 

Miriam Madau è medico omeopata e nutrizionista vegano. Conduce su Shan Newspaper le rubriche “Felicemente Veg” sull’alimentazione vegana e “H2O” sull’omeopatia. Conduce inoltre la trasmissione “VeganSì” su Radio Dreamland www.radiodreamland.it

 

 
26 marzo 2022