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Zoo, un'analisi critica

È utile osservare animali reclusi?

 

La discussione sugli animali negli zoo vede un certo fervore nel momento in cui in molte nazioni si stanno prendendo decisioni legislative a contrasto degli animali esotici nei circhi. Benché le due situazioni siano diverse, da parte dei contrari agli zoo si pone l’accento su di un fattore che, in qualche modo, congiunge le due strutture, il confinamento degli animali, l’aspetto che suscita le mozioni critiche nei confronti degli zoo.

In qualsiasi situazione, l’intervento umano configura la costrizione degli animali; anche quelli di famiglia sono costretti in una specie di “gabbia”.

La condizione è quindi imposta e per ogni tipologia di confinamento vi è una giustificazione, ad esempio economica per gli allevamenti di animali zootecnici, ecc.

Per quanto riguarda gli animali esotici la prima motivazione era stata far conoscere animali non comuni a popolazioni che non avevano la possibilità di vederli in altro modo e si comprende che le mozioni critiche sollevino censure relativamente all’obiettivo perseguito nel mondo moderno.

Pertanto la cattività è fondamentalmente il fattore negativo contestato e che si ritiene non giustificato dalle motivazioni proposte dai sostenitori delle attività degli zoo; infatti, proprio per sostenere l’utilità attuale delle strutture si propongono motivazioni che vanno oltre la visione della forma fisica degli animali.

L’elemento più pregnante addotto è quello della conservazione della specie, altri fattori considerati sono la ricerca scientifica e il messaggio comunicativo.

Il primo punto, la conservazione delle specie, richiede una valutazione generale.

Siamo di fronte a quella che viene indicata come la sesta estinzione di massa, accettata dalla maggior parte delle persone dedite allo studio dell’ambiente.

Gli attuali tassi di scomparsa per le specie sono centinaia di volte maggiori rispetto a quelli precedenti; molte delle specie esistenti sono sull’orlo del precipizio, in particolare tra i vertebrati: il 21% delle specie di uccelli, il 27% delle specie di mammiferi e il 36% delle specie di anfibi sono minacciate dall’estinzione.

I motivi sono noti, la spinta antropizzante degli esseri umani, la deforestazione, la crescita dell’urbanizzazione e delle aree cementificate, la distruzione conseguente degli spazi naturali e le varie conseguenze indotte dalle azioni umane.

Sappiamo che ci saranno migliaia di specie che spariranno prima ancora che siano state individuate. In un tale scenario non restano molte possibilità operative alla specie umana, o agire invertendo drasticamente la rotta o accettare la deriva e mettere in atto scelte moderatrici e calmieranti che però non cambieranno il destino. Destino che non si deve vedere come apocalittico ma come transizione verso un futuro totalmente diverso dal mondo che conosciamo; se allarghiamo il nostro ragionamento non sarà certamente su Marte che si porteranno gli zoo.

Esemplare di tigre del Bengala, una delle specie ad altissimo rischio di estinzione
Esemplare di tigre del Bengala, una delle specie animali ad altissimo rischio di estinzione

La strada fin qui percorsa fa ragionevolmente supporre che la seconda strada sarà quella intrapresa, tuttavia è inevitabile la riflessione conseguente: con questi presupposti, ci si può chiedere quale sia il coinvolgimento della discussione sugli zoo.

Per arrivarci mi sembra che si debba obbligatoriamente considerare quali sono le soluzioni che si individuano negli altri campi per quanto riguarda le trasformazioni.

Nella storia umana l’evoluzione si è realizzata nella contrapposizione tra Natura e Tecnologia con questa che ha indotto trasformazioni sulla prima.

Però la natura rimane “condannata” a cambiamenti che seguono ritmi condizionati dalle diverse entità che la costituiscono, le quali hanno ritmi di vita e bisogni specifici sottoposti alla pressione antropica, sia direttamente, quando, ad esempio, si distrugge una foresta o un ambiente naturale, sia indirettamente quando si modifica il clima.

La tecnologia invece è molto rapida nell’indurre le modificazioni e la sua azione si riflette quasi immediatamente sui beni naturali.

Nell’ultimo secolo si può dire che la tecnologia abbia assunto un ruolo preponderante e che gli indirizzi evolutivi della società umana siano largamente influenzati da essa tanto che gli effetti negativi tecnologici sono affrontati con soluzioni ricercate sempre nell’ambito tecnologico. Un esempio chiarissimo di tale indirizzo è l’enorme problema dei gas climalteranti al quale si propone di rispondere con soluzioni tecnologiche, come i pozzi di CO2; cioè con una tecnologia diversa e contrapposta ma non con la difesa della naturalità.

Un esempio della strada che si intende percorrere, non la salvaguardia degli ambiti naturali ma la ricerca di soluzioni che non intacchino la prevalenza tecnologica, con la conseguenza che ogni trasformazione indotta artificialmente dovrà essere affrontata con soluzioni tecniche senza ripristino dei valori naturali.

Continuando relativamente all’esempio della CO2, se il sistema dei pozzi funzionerà, progressivamente diminuirà l’importanza dei sistemi di smaltimento naturali attuali (foreste soprattutto ma anche oceani) e la loro presenza sarà sempre meno necessaria: la grande foresta amazzonica nella sua estensione conosciuta si ridurrà in modo ancora di più velocemente di quanto sta avvenendo.

Per quanto riguarda gli animali esotici la loro messa in pericolo è ancora più veloce; l’attacco alla loro presenza arriva dall’antropizzazione dei territori, dall’occupazione degli spazi naturali.

Se i pozzi della CO2 salveranno il clima, gli zoo non salveranno gli animali perché non potranno essere rimessi in libertà dove soccomberebbero come avvenuti per i loro parenti, più numerosi, che già vivevano in libertà.

Viene quindi meno, per ovvii motivi di incompatibilità, il ruolo di salvaguardia delle specie che si vorrebbe attribuire agli zoo. Le specie a rischio di estinzione sono in crisi per motivi di impossibilità ambientale, impossibilità che non potrà essere superata se qualche esemplare fosse messo in libertà. Se sono arrivati all’estinzione o comunque al livello che a livello scientifico viene giudicato non sufficiente per permetterne la ripresa come si può ipotizzare che un numero certamente inferiore a quello iniziale possa rappresentare un cambiamento del trend?

Deforestazione in Brasile
Deforestazione in Brasile

In altre parole, se il danno arrecato alle specie in pericolo è stato così elevato quando il numero degli individui era alto, come potrebbe un numero esponenzialmente più piccolo invertire la rotta?

Se consideriamo le cause alla base del declino degli animali, distruzione degli habitat, antropizzazione dei territori, smembramento e riduzione delle aree libere, caccia, bracconaggio, commercio illegale, cambiamenti climatici, inquinamento, osserviamo che si tratta di conseguenze dirette delle linee evolutive dell’economia umana che non si ha, al momento, speranze di riconsiderare e cambiare.

Perciò se non si rivedranno impedendo la manifestazione delle negatività non è neppure possibile ipotizzare che le specie salvate negli zoo possano mai ritornare in natura, ammesso che il numero sia sufficiente.

Questo è il motivo per cui la ipotizzata funzione di salvaguardia non esiste nel senso specifico del suo significato, ovvero si riduce ad uno scopo minimale, non già ridare vita alla natura ma conservare il ricordo di ciò che era, qual è lo scopo dei musei, gli zoo come musei di animali vivi invece che di oggetti. Uguale però il senso di raccolta museale come ricordo di un qualcosa che è scomparso dal suo habitat naturale.

Relativamente alla conservazione delle specie non si deve dimenticare il concetto quantitativo: fino ad ora il numero degli animali nati negli zoo è estremamente ridotto, non riesce neppure ad implementare significativamente la loro presenza; il dato delle nascite, molto pubblicizzato a dimostrazione delle difficoltà riproduttive, non sostiene certo l’ipotesi di riuscire ad avere un numero tale da contrastare la diminuzione indotta della negatività ambientali sopra elencate, sempre ricordando che gli eventuali animali liberati in natura si scontrerebbero inevitabilmente con le criticità che affrontano gli esemplari a rischio di estinzione.

Nel 2018 si è constatato, purtroppo, che quattro su sei rinoceronti liberati in natura sono morti dopo poco tempo e non per colpa dei bracconieri, a dimostrazione che ricreare la natura a partire dall’artificialità non è una scelta facile o conveniente.

“Gli zoo sono stati superati dalla rapidità dell'estinzione della fauna selvatica e la maggior parte dei loro programmi di conservazione non rispondono. Per adempiere ai loro obblighi nei confronti della società e per sopravvivere, gli zoo devono diventare organizzazioni proattive per la conservazione, applicando la loro popolarità per ottenere sostegno per la protezione della fauna selvatica e la loro esperienza per aiutare a sostenere un numero ridotto di fauna selvatica in habitat marginali” [1]. (M. Conway, 2003).

Quantitativamente e qualitativamente si deve considerare irrisolvibile il problema del numero presente nelle strutture rispetto alle specie in pericolo: come si è visto le specie in pericolo di estinzione sono molto numerose mentre negli zoo, e strutture simili, le specie presenti sono limitate ad un numero limitato; si è in presenza di un’ulteriore criticità relativa al valore conservativo poiché, in ogni caso, non si salveranno “tutte” le specie ma solo quelle che hanno qualche motivo di interesse particolare per gli umani.

La conservazione pertanto sceglierebbe chi salvare e sarebbe pressoché inutile poiché la tutela per incidere deve rivolgersi a tutto quanto è in pericolo di estinzione.

Rinoceronte bianco in cattività
Rinoceronte bianco in cattività

Questo porta ad uno stravolgimento del concetto di salvaguardia poiché nel suo principio fondante la salvaguardia si riferisce allo stato naturale originario non ad un esempio ridotto di una precedente realtà.

Vi è anche una certa dose di antropocentrismo poiché non già si pensa agli animali nella loro entità complessiva ma solo a qualche esemplare, più o meno numeroso, da mantenere non a vantaggio di tutte le specie ma solo a quelle la cui esibizione risulta interessante agli esseri umani.

Ci dobbiamo quindi chiedere se la finalità così individuata è effettivamente utile e quali siano le conseguenze per gli animali, attori diretti che non sono interpellati.

Se viene meno la finalità conservativa, va rivisto obbligatoriamente il giudizio globale.

Il mantenimento di un certo numero di esemplari in via di estinzione non modifica la realtà della sesta estinzione di massa.

Si adotta una soluzione che è antitetica dalla conservazione perché in luogo di tutelare la naturalità ci si indirizza verso la ricostruzione di una parcella di natura permettendo la distruzione della parte più cospicua, in linea con una evoluzione globale che va verso il cambiamento radicale dell’aspetto naturale per cui la conservazione non è più l’obiettivo principale.

Si deve ammettere che vi è lo stravolgimento del termine stesso di conservazione, non un problema di per sé però una contraddizione di cui si deve prendere atto senza però continuare nel suo utilizzo vezzo che diventa fuorviante per chi non ha i mezzi per approfondire la conoscenza. Perché si effettua una distorsione del termine conservazione: lo si utilizza per giustificare un’attività la quale, però, non risponde alla finalità che sta alla base del significato del termine.

La considerazione sposta anche il giudizio complessivo con cui si analizzano le condizioni degli animali. Se la finalità conservativa avesse un sostegno scientifico, le eventuali negatività per gli animali andrebbero esaminate alla luce del beneficio che si apporterebbe alle specie interessate; un ragionamento, sempre comunque censurabile, per cui il “sacrificio” di alcuni confinati può servire a salvare molti liberi.

Se non è così, perché non è così per i motivi oggettivi e incontrovertibili precedenti, la cattività degli esemplari negli zoo diventa fine a se stessa, diventati oggetti per l’osservazione delle persone.

Serve questa visione alle persone? È utile osservare animali reclusi?

La risposta può dipendere dalla posizione ideale di ogni individuo, tuttavia il bilancio costo beneficio, dal punto di vista degli animali diventa più complesso. La visione degli animali per le persone è chiaramente un approccio antropizzante, l’animale in cattività perde prima di ogni altra cosa quell’aspetto che in natura ancora conserva: il timore dell’approccio negli umani sparisce, l’animale diventa assimilabile ai pet che popolano le famiglie.

Certamente non si ha modo di vedere l’animale nella sua essenza.

 

NOTE

[1] M. Conway, 2003, The role of zoos in the 21st century

 


Enrico Moriconi, medico veterinario, è Garante per i Diritti degli Animali della Regione Piemonte e collaboratore di Shan Newspaper

Zoo, un’analisi critica - seconda parte

 

11 ottobre 2021